Quando si parla del processo cui è stato sottoposto Gesu, gli storici del diritto si dividono in due. Una parte di loro crede che sia stato un processo eseguito correttamente rispetto a quanto previsto dalla legge romana, si parla di conformità sostanziale rispetto alle norme in vigore al tempo. Un’altra parte individua delle criticità nello svolgimento del processo stesso.
Ma di cosa era stato accusato esattamente Gesù?
Era il giovedì sera prima della Pasqua del 30 d.C. quando una pattuglia di guardie del Tempio, al servizio del Sinedrio, arrestò Gesù. Il Sinedrio, infatti, non vedeva di buon occhio l’attività di Gesù, ormai circondato da una sempre più grande cerchia di seguaci che Lo acclamavano come Messia. Egli venne allora condotto davanti ad Anna, Sommo Sacerdote dal 6 al 15 d.C., per essere interrogato. Secondo consuetudine si sarebbe dovuto recare prima davanti al Sinedrio, perciò l’interrogatorio di Anna rappresentò una parte non necessaria, ma ammessa della procedura che coinvolse Gesù. Si ricercavano dei profili penali sotto cui Egli potesse essere accusato, come la messianicità e il disturbo dell’ordine pubblico. Gesù venne ufficialmente accusato di lesa maestà. Si trattava di un reato ridefinito dalla Lex Iulia Maiestatis, voluta da Augusto che prevedeva una molteplicità di atti che recassero pregiudizio alla stato romano, alla sua sicurezza e allo stesso imperatore. Le pene per i colpevoli di lesa maestà potevano variare dall’Aqua et igni interdictio (perdita della cittadinanza romana e confisca dei beni) ad altre forme di esilio, fino alla decapitazione con spada (per cives) e altri supplizi come la crocifissione o il rogo per chi non fosse cittadino romano.
Gesù resse il confronto con Anna e venne mandato davanti al Sinedrio che esercitava la giurisdizione secondo il diritto ebraico, per essere nuovamente interrogato, con escussione di testimoni. Caifa, Sommo Sacerdote al tempo di Gesù, lo interrogò sulla sua messianicità e lo reputò reo di blasfemia, dunque, meritevole della morte. Dal momento, però, che il Sinedrio non poteva esercitare la pena di morte, Gesù venne mandato davanti a Pilato, governatore provinciale della Giudea. Quest’ultimo era piuttosto in dubbio sulla possibilità di avviare un processo contro Gesù dal momento che le accuse a Lui rivolte sembravano irrilevanti dal punto di vista del diritto romano, cui la figura di Pilato incarnava i valori. Egli allora tentò di restituire Gesù ai membri del Sinedrio, ma essi si opposero non potendo metterlo a morte. A questo punto Pilato decise di cominciare un processo contro Gesù nella forma della cognitio extra ordinem. Pilato, dopo aver interrogato Gesù, non trovò in lui colpe, dunque, non emise una sentenza di assoluzione come avrebbe dovuto fare, ma trattenne Gesù nella speranza che anche il Sinedrio si convincesse al più presto in merito all’innocenza di Gesù. Pilato decise allora di inviare Gesù da Erode Antipa, governatore della Perea e Galilea, nella speranza di evitare contrasti con le altre autorità locali. Anch’egli non trovò in Gesù alcuna colpa, ma lo derise e lo schernì rimandandolo da Pilato avvolto in un mantello regale per ridicolizzarlo pubblicamente. Pilato, allora, decise di rimettere la scelta al popolo tramite l’usanza secondo cui, in occasione della Pasqua, era possibile liberare un prigioniero. La folla probabilmente poco numerosa e manipolata dal volere del Sinedrio, scelse di liberare Barabba al posto di Gesù.
A questo punto, a causa delle pressioni del Sinedrio, seppur nella convinzione dell’innocenza di Gesù, Pilato si lavò le mani rimettendo Gesù alla volontà di una minoranza accusatrice. Pilato allora dispose con sentenza la crocifissione di Gesù previa flagellazione.
Venne disposta anche una pena accessoria riguardante la “passeggiata ignominiosa” fino al Golgota, ed è lì che il Cristo venne affisso alla croce. Per il diritto romano vigeva il divieto di sepoltura per chi avesse subito una pena capitale come Gesù, ma Giuseppe di Arimatea supplicò Pilato affinché Gesù potesse essere sepolto, e quest’ultimo gli accordò la richiesta.
Volendo dunque evidenziare delle criticità in merito allo svolgimento del processo è possibile sottolineare: il comportamento di Pilato che ha rimesso ad altri una decisione che avrebbe dovuto prendere personalmente, nonché la composizione del gruppo cui la decisione era stata rimessa. Del resto, si trattava di una collettività poco numerosa, composta per lo più da membri del Sinedrio, il che andava in contrasto con il principio della terzietà del giudice, centrale nel diritto romano.
Quello che come credenti sappiamo è che il sacrificio di Gesù era già stato pianificato dal Padre affinché io e te potessimo avere la vita eterna tramite la Salvezza in Cristo Gesù.
Del resto già Isaia sette secoli prima la venuta di Cristo aveva preannunciato il piano salvifico che il Messia avrebbe compiuto e per questo scrive:
«Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato! Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.»
Isaia 53:4-5
In quanto figli di Dio è rincuorante riconoscere quale Misericordia Cristo ha dimostrato per noi, pagando le conseguenze di reati mai commessi, accettando la morte sul duro legno della croce senza opporsi al volere del Padre, solo per Amore.