Vi è un suono che frequentemente sfugge all’attenzione dell’uomo, celato nel sottofondo della vita quotidiana. Non proviene da strumenti terreni né da corde vocali umane; è anteriore alla creazione, più puro della luce, più profondo del silenzio stesso: è il canto di Dio. Dio non è soltanto l’architetto dell’armonia universale: Egli è il Primo Cantore. Il sussurro del vento tra le fronde, il battito ritmico della pioggia sulle tegole, il respiro della terra, tutto discende dalla sua voce eterna. Quando ascoltiamo le onde infrangersi o il canto degli uccelli all’alba, percepiamo l’eco di una sinfonia che ha avuto origine nel cuore stesso del Creatore. Fin dagli inizi, la creazione partecipa a questa sinfonia divina: il profeta Isaia proclama, “I monti e le colline proromperanno in grida di gioia davanti a voi, e tutti gli alberi della campagna batteranno le mani” (Isaia 55,12). La natura intera si muove a ritmo di lode, in una danza silenziosa e solenne, e ancora oggi ogni fruscio di foglie, ogni crepitio del fuoco, ogni rombo di tuono e ogni carezza della brezza partecipano a questo canto senza fine. Se il nostro cuore si disponesse all’ascolto, potremmo unirci anche noi a questa processione invisibile. Tuttavia, la melodia non si esaurisce nella terra: anche il cielo è colmo di canto. Gli angeli, in perpetua adorazione, intonano: “Santo, Santo, Santo” (Isaia 6,3). E nella notte in cui la Luce vera discese tra gli uomini, una moltitudine celeste squarciò il velo del cielo proclamando: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” (Luca 2,14). Quando anche noi leviamo il nostro canto, fosse pure un sussurro nell’intimità della nostra stanza, ci uniamo a quella sinfonia eterna, invisibile ma potentissima. Non siamo stati creati soltanto per parlare: siamo stati formati per cantare. Il canto esprime ciò che il linguaggio discorsivo non riesce a contenere: la gioia più luminosa, il dolore più profondo, la speranza che sopravvive alle tempeste. Per questa ragione, il popolo di Dio ha sempre cantato: da Mosè a Davide, dagli apostoli fino alla Chiesa dei nostri giorni. Il canto è il linguaggio dell’anima, la preghiera che si fa poesia; come esorta l’Apostolo: “Cantate e inneggiate al Signore con tutto il vostro cuore” (Efesini 5,19). Vi è poi un versetto che custodisce una tenerezza ineffabile: “Il Signore… esulterà per te con grida di gioia” (Sofonia 3,17). Dio stesso canta su ciascuno di noi, nella nostra fragilità, nei giorni incerti, lungo i cammini imperfetti della nostra esistenza; ci guarda, ci ama e canta, non per dovere, ma per sovrabbondanza d’amore, come un padre incantato dal sorriso del figlio, come uno sposo rapito dalla bellezza della sua amata. In Cristo, il canto si è fatto carne: nella notte che precedette la Passione, Gesù, colui che ha preso su di sé il dolore del mondo, intonò un inno (Matteo 26,30), e oggi Egli guida il canto della sua Chiesa. È Lui che rende dolce anche la voce più incerta; è Lui che canta in noi e con noi. Un giorno, questa melodia si eleverà in un unico, immenso canto: le voci dei redenti, le creature della terra e gli angeli del cielo si fonderanno in un’adorazione perfetta. Sarà il giorno in cui ogni barriera cadrà, ogni distanza si colmerà, e tutto — tutto — canterà: “Alleluia! Perché il Signore nostro Dio, l’Onnipotente, regna!” (Apocalisse 19,6). Fino ad allora, lasciamo che il nostro cuore si accordi a questa sinfonia. E cantiamo, poiché il canto è già iniziato.