In ebraico, il verbo אָמַן – ’āman esprime, nella sua essenza originaria, il concetto di solidità, affidabilità, stabilità. È un verbo, non un sostantivo, e nella forma base (qal) descrive ciò che regge, ciò che non cede, ciò che offre consistenza e fondamento. Da questa radice scaturiscono termini centrali nella tradizione biblica: Emunah, la Fede che non vacilla, e Amen, l’assenso profondo e consapevole che suggella l’adesione interiore all’opera e alla parola di Dio.
Il primo uso di ’āman appartiene all’ambito dell’architettura, là dove si richiede stabilità vera. Non è linguaggio figurato: è verbo di pietra e di legno, di travi e chiodi. Isaia, nel descrivere un chiodo infisso con forza e destinato a reggere un peso stabile, ricorre a ’āman (Is 22,23). Ed è ancora Isaia, poco prima, a proclamare: «Se non crederete, non resterete saldi» (Is 7,9). Nell’originale ebraico, “credere” (ta’aminu) e “rimanere saldi” (te’amenun) condividono la medesima radice: credere è stare in piedi, è fondarsi. Senza ’āman, nessuna costruzione resiste: né quella di una casa, né quella di un’anima.
Ma questo verbo possiede anche un’altra dimensione, più intima e spirituale. ’Āman non descrive soltanto ciò che si erige, ma anche ciò che sorregge nel profondo. È il verbo che parla del cuore che si affida, del rapporto fondato sulla Fiducia reciproca. In Neemia 9,8, si legge: «Tu trovasti il suo cuore fedele (ne’emān) davanti a Te». Si parla di Abramo, la cui Fede non fu semplice adesione intellettuale, ma base concreta su cui Dio poté edificare un popolo, una storia, una promessa. Abramo fu trave viva nel progetto divino, pietra su cui il Signore poté fare appoggio. Così, ’āman ci rivela che la vera Fede non è sentimento vago, ma disposizione portante, capace di reggere il peso dell’Alleanza.
Nel Nuovo Testamento questa immagine si compie e si amplia. La Fede torna ad assumere la forma di architettura, ma questa volta non di muri terreni, bensì di un edificio santo, destinato a durare per l’eternità. Cristo ne è il fondamento insostituibile, la base viva da cui tutto prende forma e consistenza. I credenti, pietre scelte e vive, non sono semplicemente sostenuti: vengono incorporati in una struttura ordinata e crescente, radicata nella verità e nella grazia. Così, la Fede non è più soltanto ciò che ci tiene in piedi, ma ciò che ci unisce, ci posiziona nella comunione, e ci eleva nella speranza che non delude.
Tutto ciò culmina in una parola che molti pronunciano ogni giorno: Amen. Non è una chiusura formale, né un’espressione automatica. È una dichiarazione di appoggio e di adesione. Dire “Amen” è affermare: “Questo è vero. Questo è saldo. Qui mi fermo. Qui riposo”. È come conficcare un chiodo nella trave della propria preghiera. È un gesto di ancoraggio.
Ed è proprio allora, quando le certezze umane si sgretolano, quando l’anima si trova senza appigli e le parole sembrano leggere come vento, che il verbo ’āman ci restituisce il senso profondo del credere: credere è reggersi, pregare è fondarsi, dire Amen è aggrapparsi a ciò che non crolla. È una parola silenziosa, ma gravida di stabilità. Invisibile, ma essenziale. Non vistosa, ma decisiva.
Per questo, Amen non è la conclusione della preghiera.
È la trave nascosta che la sostiene.
È il punto in cui la nostra Fiducia si intreccia con la Fedeltà di Dio.
È il nostro sì, piantato in una terra che non trema.